I Samurai erano una classe militare d’élite composta da soldati e funzionari, simili sotto certi aspetti ai cavalieri dell’Europa medievale. Il nome deriva da un verbo, saburau, che significa “servire” e letteralmente, samurai, significa “servitore”.
L’armatura dei samurai è ancora oggi d’importante interesse collezionistico, in quanto tali creazioni sono il lascito di processi ben precisi ed antichissimi, garantendo progetti di alta qualità sia nei materiali che di resistenza durante le battaglie.
Le principali componenti dell’armatura giapponese sono: il Kabuto (elmo), il Menpō (maschera protettiva per il volto), il Dō (corazza in cuoio e ferro), i Sode (spallacci rettangolari in cuoio o ferro), i Kote (bracciali ricoperti in lamine di ferro, comprensivi di guanti d’arme) e il Kusazuri (una scarsella composta da lamine, da cingersi sopra la corazza).
Il Kabuto, come tutta l’armatura, nasconde alla vista chi lo indossa, rendendo il guerriero misterioso e potenzialmente pericoloso. Dal periodo Momoyama al periodo Edo, tale messaggio viene rafforzato ancora di più dalle incredibili forme dei cimieri (i Mon e i Kamon) ispirati da oggetti sacri o elementi della natura (animali e/o elementi naturali).
L’armatura diveniva un segno distintivo del samurai, una vera e propria identità: infatti tramite tali dettagli vistosi, i fanti potevano identificare il proprio comandante nel mezzo della mischia della battaglia. Quindi, distinguersi tra la folla e tra gli altri comandanti, ma le forme e le decorazioni avevano anche la funzione di riaffermare il proprio prestigio personale, in un tempo in cui i signori della guerra si contendevano il controllo del Giappone.
La corazza, o Dō, veniva realizzata con piastre di ferro legate insieme, l’armatura era flessibile, consentendo al samurai di muoversi liberamente.
Il Menpō, maschera utilizzata per la pretezione del volto (dagli occhi in giù), si tratta in effetti di uno degli elementi più caratteristici dell’armatura giapponese. Prende sicuramente le proprie radici ed influenze dalle maschere da guerra cinesi della dinastia Han e Song, divenuta poi un’icona del panorama bellico medievale giapponese. Inoltre, esistevano due tipologie differenti: il ressei men, caratterizzato da un’espressione feroce, con baffi, denti a vista e rughe che ne accentuano l’aggressività, e il ryubu men dall’espressione “nobile”e serena.
Tali maschere venivano realizzate in cuoio, metallo o combinazioni di più materiali e ricoperte di lacca per migliorarne la resistenza alle intemperie.
Il guerriero samurai in genere portava due spade. Diversi stili erano popolari in tempi diversi, ma durante il periodo Edo (1600-1868) venivano utilizzate maggiormente la spada lunga katana (lunghezza maggiore di 60cm) e la spada da compagnia più corta conosciuta come wakizashi (con una lama tra i 30cm ed i 60cm). Per le occasioni cerimoniali formali, questi venivano sostituiti con una spada a tracolla (o tachi) e un pugnale.
L’uso dell’armatura in Giappone proseguì sino alla fine dell’Era Samurai, infatti negli anni sessanta del XIX secolo, l’imperatore riprese il potere nella Restaurazione Meiji del 1868, iniziando ad emanare leggi per ridurre il potere e lo status della classe dei samurai. Ai samurai non era più permesso portare spade in pubblico e fu istituito un esercito nazionale che arruolò uomini di tutta la società.
Vi fu tuttavia un ultimo massiccio utilizzo durante gli scontri della Ribellione di Satsuma, nove anni dopo l’inizio del periodo Meiji. Dalla ribellione di Satsuma è tratto il film “L’ultimo Samurai”, condidato a quattro premi Oscar e a tre Golden Globe, con Tom Cruise e Ken Watanabe.